È passato quasi un anno: era il 12 febbraio 2023, il campo quello della finale dell’Open Sud De France di Montpellier, un torneo 250, e ai lati opposti c’erano Jannik Sinner e Maxime Cressy.
In quella finale, Sinner vinceva 7-6, 6-3 e da numero 17 del mondo diventava numero 14. Quello era il suo settimo titolo ATP e di lì a pochi giorni avrebbe giocato un’altra finale contro Daniil Medvedev a Rotterdam, per un torneo ATP 500.
Dopo la finale di Montpellier, ai microfoni della sala stampa, Sinner raccontava come altre volte le ragioni della vittoria: gli hanno chiesto il come, il cosa, quello che ha funzionato, quello che tutto sommato sarebbe potuto andare meglio ma che aveva meno importanza del solito, perché il torneo era vinto. Il trofeo alzato. Un altro check aggiunto. E lui ha risposto con la solita tranquillità, con una sensazione di misurata completezza.
Quasi un anno fa si faceva anche la conta dei trofei alzati fino a quel momento, perché da 12 mesi circa Sinner aveva cambiato allenatore, aveva iniziato a sistemare il suo gioco e quindi era tempo di fare la conta. Il percorso lineare imposto a Jannik Sinner era stato semplice: predestinazione - vittoria - altra vittoria - sempre più vittoria - Slam - ancora Slam - poi anche la Davis perché sì e infine il mondo intero.
Semplice, sì; e io che ho scritto?
Fino a un anno fa, Sinner aveva vinto un titolo nel 2020, il primo, a Sofia, poi ben quattro nel 2021, uno solo ancora nel 2022 (a Umago) e il (sperabilmente) primo del 2023 in Francia e c’era aria di future sfide eccellenti e momenti eclatanti: ormai era arrivato il tempo.
Di Jannik Sinner fino a quel momento si è detto molto bene praticamente sempre, ma che doveva ancora misurarsi e superare il meglio, i top classifica e avrebbe di certo avuto le occasioni a breve. I migliori erano infatti quelli che avevano già qualcosa in più e lo avevano già dimostrato. Mancava solo lui. A Sinner gli si stava facendo già notare il ritardo, il problema con il tempo del tifo, con l’impazienza quasi di non riuscire a stargli dietro (nel senso: al suo ritmo), certi che predestinazione dovesse necessariamente far rima con ATP 1000 e Grande Slam.
Un apostrofo rosa tra le parole Grande e Slam
Predestinato è un’etichetta strana: arriva per definizione sempre in anticipo e descrive l’intenzione, la prelazione sul successo. Anche di Frances Tiafoe ad esempio si è detto fosse un predestinato, lo statunitense più promettente della sua generazione (era il 2019, l’anno in cui Jannik Sinner vinceva le Next Gen ATP Finals, contro Alex De Minaur, un altro predestinato della terra australiana) e in una intervista rilasciata a Vanity Fair diceva:
«Ci sono tanti giocatori giovani che stanno crescendo bene, è interessante vedere chi tra questi riuscirà a vincere qualche Slam: non si capisce ancora se se ce ne sarà uno dominante o sarà una situazione equilibrata. Di sicuro il tennis è in buone mani»
Nel 2019, si aspettava ancora l’exploit di Stefanos Tsitsipas, di Alex Zverev e chi aveva nemmeno 20 anni doveva vedersela anche con quest’altra generazione, che era già diventata una generazione di mezzo. Tra le leggende e i nuovi Next Gen. I nuovissimi Next Gen (anche Tsitsipas è stato un eccellente Next Gen e non ha ancora vinto uno Slam). E ogni anno, dal 2019, si è cercato di capire se quello a venire sarebbe stato l’anno buono di Jannik Sinner.
Buono per cosa, poi?
Intanto per iniziare a vincere più di un torneo all’anno e mettere in pratica quel percorso lineare semplice semplice che si aveva già in serbo per lui. E il 2020 ha mantenuto la promessa. Poi è arrivato un agente disturbante, uno degli agenti più spettacolari, Carlos Alcaraz, che non solo vince subito i tornei, ascende la classifica come un razzo, ma vince gli Slam e arriva pure al numero 1, scavalcando Novak Djokovic, uno dei/il più grandi/grande di tutti i tempi.
Un anno fa, mentre Jannik Sinner vinceva il torneo 250 di Montpellier e le vittorie sembravano attutite da colpi più pesanti e ganci di dritto più incisivi, Carlos Alcaraz vinceva un altro 250, quello di Buenos Aires, ma era già numero 2 del mondo, aveva già vinto uno Slam (lo Us Open 2022).
Perché Alcaraz sì e Sinner no? Perché il talento del predestinato di Alcaraz è esploso così forte e veloce (anche Alcaraz vinceva le Next Gen nel 2021) e quello degli altri no? Cosa c’è in Carlos Alcaraz di differente?
Dopo la finale di Montpellier, Jannik Sinner ha cominciato a perdere partite rilevanti, e ogni partita persa ha bruciato di sconfitta più profonda del dovuto. Rotterdam, in finale contro Daniil Medvedev, poi Indian Wells, in semifinale contro Carlos Alcaraz, Miami, ancora in finale contro il russo e poi a Montecarlo in semifinale contro Holger Rune, per non parlare degli ottavi di finale di Roma persi contro Francisco Cerúndolo, e poi ancora fino alla sconfitta in semifinale a Wimbledon contro Novak Djokovic (una partita brutta davvero, e brutta per entrambi), fino ad arrivare all’affaire Coppa Davis (no, nessuna reference della Gazzetta. Qui al Post hanno spiegato tutto).
Sulla predestinazione si ha sempre un problema di tempistiche: il predestinato anticipa ma se non segue poi il disegno stabilito lo si mortifica, lo si accusa quasi di tradimento di intenzione e quindi o tutto subito come Carlos Alcaraz o non vale la pena nemmeno perderci tempo, perché l’alternativa al tutto e subito è piena di sofferenza.
La scorsa primavera a Jannik Sinner non si dava più il beneficio del dubbio e nemmeno il beneficio del tifo. Ormai era diventato un problema quasi tutto: anche perdere in semifinale a Wimbledon contro Nole è stata definita un’occasione mancata, nonostante lui si fosse sentito più vicino al Paradiso, più di qualsiasi altro momento, ma come credergli con un 3-0 senza redenzione? Per molti che hanno scritto in quei giorni il punto era sempre quello: il tempo, il ritardo. Avrebbe dovuto almeno vincere un ATP 1000, ha mancato le occasioni importanti. Le pretese, la riscossione dovuta per il tempo impiegato (leggi: perso) a tifare, a sperare, a soffrire. Perché non si era scelto (o non è capitato) Alcaraz che è già capace di vincere in modo sublime, giocare una partita già in modo strabiliante, mentre Sinner no?
E in queste frasi in opposizione ritorna uno schema che è proprio dello sport, se ci si pensa un momento: mentre, invece, ma sono congiunzioni e avverbi che possono avere valore avversativo e l’avversario è una delle cose che più qualifica lo sport, tanto quanto il tempo in anticipo definisce la predestinazione.
Chi conosce Jannik Sinner da vicino (da Riccardo Piatti in avanti) non lo etichetterebbe mai come predestinato, ma come una persona divertente (!) che lavora parecchio, che si impegna, che ha tigna e mania di perfezionismo, che vorrebbe stare in campo 4 ore al giorno (e come dargli torto, d’altronde) ma deve imparare a fare ancora tante cose e tante ne sa già fare: e mentre il tifoso aveva la fregola, lui ha provato a migliorare il servizio (check!), a governare le energie (check!), a non demoralizzarsi e girare a vuoto quando sta perdendo (check!), a crescere (check!), ma soprattutto a rimparare a divertirsi, come una volta.
Dopo la finale a Montpellier, come spesso durante tutte le partite giocate fino a Wimbledon 2023 compreso, Jannik Sinner non era tranquillo sul campo da tennis. Ed era comprensibile, no? Non è come quando noi andiamo a giocare il sabato mattina e ci impegniamo tantissimo semplicemente a mandare il servizio dall’altra parte; il suo è un lavoro. Lavorare non può essere divertente. Siamo grandi, lo sappiamo. Pressure is privilege, lo dicono tutti appena ne hanno occasione, e la pressione costa e soprattutto nessuno sa cosa significa esattamente. Perdere il sorriso? Non divertirsi mai più nella vita perché si è scelto di giocare per lavoro?
Ma poi, è davvero così divertente giocare a tennis? Si perde per due punti, si fa fatica, è un gioco tecnico, non esiste il pareggio e anzi: ci sono i vantaggi. Cioè, se si è pari, il punto buono bisogna farlo due volte. Praticamente è un modo per punire la mancanza di netto vantaggio (oppure allungare la sofferenza, dipende da come si approccia il mondo). Nelle premesse, nelle regole, il tennis è un gioco da o tutto o niente e quindi appena arriva qualcuno che lo sa, lo ha capito ma non ci si trova proprio subito e deve trovare il suo modo per farci pace, pare che da predestinato può scendere subito a se-avessi-saputo-che-era-troppa-sofferenza-avrei-evitato.
Domani (ore 9.30 ore italiane) Jannik Sinner si gioca la sua prima finale Slam; per alcuni in ritardo sulla tabella di marcia e lo scrivo adesso, prima che la partita cominci: val la pena tutta la sofferenza che ho da sempre provato.
Note di lettura
Un libro da leggere: L’ora di greco, di Han Kang (Adelphi, traduzione di Lia Iovenitti). Il lirismo de La vegetariana, con meno forza della narrazione ma lo stesso linguaggio toccante.
Un altro libro da leggere: Leonard e Hungry Paul, di Rónán Hession (Keller, traduzione di Elvira Grassi). Una storia di esistenze "minute” con la forza delle idee talmente tenere da essere rivoluzionarie e sullo sfondo un’amicizia di adulti trentenni senza troppe aspettative. Il resto l’ho scritto qui.
Una cosa da guardare: Sanditon, una serie TV creata da Andrew Davies che esiste dal 2019 ma io ho scoperto l’altro ieri e parte da un’opera incompiuta di Jane Ausnte. Bridgerton senza Beyoncé e Shonda Rhimes. Va bene per fare gli addominali o la cyclette alla sera.
Il libro di febbraio
Il 16 febbraio esce Fondamentali, un’antologia a tema sport femminile che ho contribuito a scrivere assieme a Tiziana Scalabrin, Alessia Tuselli, Olga Campofreda e Giorgia Bernardini che è pure curatrice del volume, autrice dell’introduzione e ci ha messo tutte insieme attorno a un’idea. Ma non un anno fa quando abbiamo iniziato a parlare del libro; ben prima.
Sono molto felice di far parte del quintetto di cui sopra, non solo perché sono persone di cui ho molta stima (non solo letteraria) ma perché ho avuto l’opportunità di scrivere una cosa che si intitola Icone che volevo mettere insieme da tempo e non avevo ancora trovato il posto giusto per farlo.
Ultima nota
Novelz è anche su MINDIT, nella categoria sport. Se sei iscritt* da Substack non cambia niente, ti arriverà comunque in mail; è solo un modo in più per leggerla.
Alla prossima!
Mi sei mancata, bentornata ❤️