Backup
Le fotografie nella nuvola non si vedono, forse esistono, di certo non si ricordano.
Di recente ho riguardato una serie di fotografie già scattate in digitale di due o tre periodi un cui non esistevano i social media (siamo anche a prima di Facebook e in certi casi prima di Instagram). Erano foto di vacanze, di luoghi che visitavo la prima volta, di feste a casa di amici o compagni di università. Alcune foto a concerti, a cene.
La percezione è stata quella di frammenti, forse ricordi, che avevo rimosso o quasi. L'obiettivo di sfogliare l'album, seppur digitale, è stato raggiunto: riportare alla mente, giocare con i dettagli smarriti che invece erano lì pronti a essere riconosciuti nella fotografia di turno.
Ho avuto la sensazione quindi di ricordare: riavere indietro una immagine, sentire sulla pelle una sensazione già provata.
In questi giorni, anche se non l’ho chiesto, il mio smartphone mi sta proponendo dei caroselli di fotografie con il mio anno 2024, conditi da un sottofondo musicale preimpostato e puntualmente editato per essere postato su Instagram, su Tik Tok o dove mi pare.
Fa la selezione al mio posto, attingendo dalla galleria e mi chiede anche un contributo minimo: vuoi cambiare qualcosa? Aggiungi quello che preferisci, togliamo, taglia, cuci. Facciamolo insieme, Elena! È un anno che vale la pena di ricordare! Non ne sono certa. E anzi questa sua sicurezza mi infastidisce.
A guardare i caroselli che posso comporre, l'unica sensazione che provo è noia, perché ho memoria quasi puntuale di tutto quello che mi propone. Rivivere in questo caso non è riprovare, è riguardare, come un compito di scuola mal sopportato. “Sarà perché non sono ricordi”, mi sono detta, “ma momenti vissuti troppo di recente”.
Sono precipitata in un buco nero che è il mio backup di immagini dello smartphone, salvato su cloud. Ho passato quattro ore senza accorgermene dentro immagini salvate con un nome asettico assegnato in automatico dalla macchina.
Faccio il backup della galleria del telefono (foto da tenere, foto brutte, foto con filtri, video da videomaker mediocre, screenshot che finiscono in messaggi privati, screenshot che sono appunti visivi da ricordare) perché non sono più capace di scegliere le cose da ricordare. Non ho più intenzione di scegliere.
Quando andavo in giro con la Canon, dovevo montare l'obiettivo, mettere a fuoco e scegliere l'esposizione (perché rinunciavo al setting automatico), inquadrare, scattare. Mi dovevo preparare. Il tempo della fotografia era fatto di contesti di applicazione del cervello che quando prendo in mano lo smartphone non ho mai.
Cambia - e anzi: direi che manca proprio - l'intenzione.
“Tanto al massimo la cancello”, mi dico. A quanto pare non lo faccio. In ogni caso perché dovrei? Ogni foto che scatto oggi con lo smartphone diventa effimera, diventa altro nel momento stesso in cui tocco quel tasto che tasto non è: si salva che io lo voglia o meno e diventa backup.
Il backup dovrebbe servire come appiglio, come piano B, se dovesse succedere qualcosa di irrimediabile al mio smartphone. Per non perdere niente, per pensarci dopo. E se succedesse una cosa del genere che immagini sceglierei di reintegrare? Sarei sicura di volere indietro tutto?
A furia di non perdere niente, non ricordo più niente perché i dettagli insignificanti (la stessa linea gialla del binario di Loreto della M1 di Milano ce l’ho almeno 5 volte: è sempre la stessa, posso giurarci, perché aspetto e salgo sul treno nello stesso punto da anni) sono doppioni di figurine che non cambiano mai. O almeno questa è l'illusione di avere un backup infinito, l'illusione che ogni momento è potenzialmente rilevante e vale la pena di essere ricordato. Con la Canon al collo correvo il rischio di perdermi qualcosa. Dovevo essere attenta. Dovevo esercitare un'intenzione. E avrei conosciuto la perdita solo quando il qualcosa sarebbe stato perso per sempre.
Avrei parlato di attimo. Perso o conquistato.
Il mio proposito del 2025 sarà smettere di fare il backup, darmi la possibilità di dimenticare, e ritrovare, se sarà necessario.
I libri del 2024
Ho letto molto di più degli ultimi dieci anni, posso permettermi di fare una piccola classifica.
Opere complete lette: 48.
Opere lasciate e non finite: 10 (tempo perso circa 3 settimane).
Dicevo 48, composti come segue:
30 romanzi, 1 serie manga, 9 saggi, 5 graphic novel, 1 raccolta di racconti e 2 antologie a tema;
41 letti la prima volta, 7 riletture;
solo 15 usciti nell'anno solare 2024;
24 eBook, 17 libri, 7 audiolibri;
26 di autori e autrici italiani e italiane.
Tento due top 5 a questo punto: una dei momenti più belli vissuti in compagnia di una di queste opere e una di ciò che consiglierei ai miei migliori amici.
Top momenti belli
Pretty Guardian Sailor Moon, volumi 1-12, di Naoko Takeuchi, edizione italiana Star Comics. La canzone di Achille di Madeleine Miller, traduzione di Matteo Curtoni, Maura Parolini ed. ita. Marsilio. Posto pari merito.
Confessione: mai letto il fumetto di Sailor Moon in vita mia, come non avevo mai letto uno dei libri più venduti degli ultimi anni. Ho recuperato tutto insieme in primavera, a partire da aprile. Da quando mi sono messa a dieta. Diagnosticata una obesità cronica di primo grado, viste le specialiste del caso, cominciato a sudare grasso dalla cyclette, avevo bisogno di una cosa che avesse il sapore dei miei 14 anni. E niente, mezz'ora di cyclette se ne andava con le guerriere della Luna e mezz'ore con Achille.
Miller si è portata dietro un'altra serie di letture simili, di rivisitazione dei miti classici, ma ci torniamo dopo.
Intermezzo di Sally Rooney, traduzione di Norman Gobetti, ed. italiana Giulio Einaudi editore.
L'ho finito andando allo stadio a vedere una partita importante: il primo derby di calcio femminile di Milano a San Siro. Ad avercene di non capolavori così. Viva gli scacchi. Sempre.
La camera chiara di Roland Barthes, traduzione di Renzo Guidieri, ed. italiana di Giulio Einaudi editore.
L'ho riletto per preparare il workshop fatto con Giorgia Bernardini e Giulia Siviero per il festival di Internazionale a Ferrara. È stato un periodo molto stancante, ma avevo questa cosa importante da fare che mi ha regalato uno dei periodi più belli dell'anno.
Il dilemma dell'onnivoro, di Michael Pollan, traduzione di Luigi Civalleri, ed. italiana Adelphi.
È un libro lungo, approfondito, che ragiona sulla sostenibilità alimentare e lo fa mettendo tanti dubbi in testa. Il momento bello, quasi il primo dell'anno, è che pensavo di trovare una lettura complessa, che avrei dovuto fare con tanto tempo di fronte. Una cosa che avrei dovuto fare e non avrei voluto per davvero. E invece è andata proprio al contrario, partendo dal presupposto che la scelta che si fa ogni giorno per mangiare riguarda sempre tutti.
La crisi della narrazione di Byun-Hul Chan, traduzione di Armando Canzonieri, ed. italiana Giulio Einaudi editore. Lettore: Alberto Onofrietti.
Il periodo di blocco del lettore, risollevato da una sequenza di audiolibri. Il più bello, quello che mi ha fatto riaprire le pagine, è stato questo.
Top libri belli
Questa classifica la faccio al contrario e senza particolari specifiche: ciascuno di questi ha molte cose che vorrei portarmi appresso in eterno, in termini di scrittura, trama, piacevolezza della lettura, interesse mio personale.
Per uno di questi c'è quello che ho scritto per ilLibraio.
Cose che non si raccontano di Antonella Lattanzi, Giulio Einaudi editore.
Mrs. Dalloway, di Virginia Woolf, traduzione e curatela di Paolo Bugliani, ed. italiana BUR.
T, di Chetna Maroo, traduzione di Gioia Guerzoni, Adelphi.
Cassandra, Christa Wolf, traduzione di Anita Raja, ed. italiana e/o.
L'invincibile estate di Liliana, di Cristina Rivera Garza, traduzione di Giulia Zavagna, ed. italiana Sur.
Il mio proposito del 2025 è diminuire i libri lasciati: devo scegliere meglio. Ripescare cose che non ho mai letto. Rileggere in alcuni casi. Quel 10 è il numero più alto degli ultimi 10 anni.
Il segno del tempo
Questo post fatto di due fotografie ritraggono l'allenatore della Juventus Women Max Canzi e Sofia Cantore, soprannominata di recente Cangoals, numero 9 ritrovata con il nuovo corso juventino.
Sta segnando parecchio e questa non è una assoluta novità nella sua carriera di attaccante di molto talento, ma una novità da quando è tornata alla Juventus dopo le stagioni del prestito.
Il segno del tempo che ci lascia questa fotografia è nella didascalia: le mancava continuità, perché le mancava fiducia. “Trust” è la parola del post, tra allenatore e giocatrice, tra la panchina e il campo, tra la tattica e la tecnica, tra la mente e il corpo, quello di Canzi come quello di Cantore.
Infine
Novelz è anche su MINDIT, nella categoria sport. Se leggi da Substack non cambia niente, ti arriverà comunque in mail.
Alla prossima!
Bentornata Marinella.
Mancavi 😊