Una premessa, solo per questa volta
Se Roxanne Gay sente la mancanza dei blog, e fa partire una newsletter che si chiama The Audacity il prossimo 11 gennaio, chi sono io per non unirmi al suo: «Newsletters are over»?
Ho aperto la prima newsletter cinque anni fa, ma poi non ne ho fatto niente, si chiamava già Novelz, il template era pronto, il primo numero pure, ma ho messo tutto in cantina a prendere umido: non ero convinta. Ho iniziato, però, a leggere quelle degli altri. Me ne arrivano alcune di informazione, altre sui libri, altre personali, altre ancora di sport e sono diventate per me una forma di lettura tra le più interessanti. Non scadono, quasi mai. Questa è la prima cosa che mi piace. Mi aspettano: posso leggerle quando ho davvero tempo da dedicare loro. Infine: mi somigliano come lettrice, perché sono una forma di comunicazione distillata e curata. Di recente, per contro, ho ritrovato il gusto di condividere informazioni o cose da leggere, tanto mie quanto degli altri, soprattutto su Instagram, ma mi sono accorta di quanto poco durino i ragionamenti che si fanno su un social network pensato in quel modo.
I blog e le newsletter, invece, hanno la stessa anima. La differenza la fa solo la pigrizia. Nel 2003 ce li andavamo a cercare, inserivamo uno alla volta i link nel feed reader e se qualcosa si inceppava, se non ricevevamo un aggiornamento, ci preoccupavamo. C’era lo spazio per i commenti. Adesso, invece, la fatica si fa una volta sola, iscrivendosi. Per il resto è uguale.
Novelz racconta ciò che leggo. Ci sarà spesso il tennis, e ci sarà lo sport, e ci saranno i libri. Ci saranno dei racconti, di tennis e non solo. E ci sarà qua e là anche il piglio del vecchio blog, il diario personale, fatto con più consapevolezza di 17 anni fa. Spero.
Grazie di essere qui, quindi. Cominciamo.
Benvenut* su Novelz, la newsletter che nel 2003 sarebbe stata un blog.
Il 2020: a te come è andata?
A me benissimo o malissimo, a seconda dei momenti. È iniziato in salita, prima della pandemia, è finito con un libro pubblicato a ottobre.
Odio gennaio, da che io ricordi, e lo ritengo il più crudele dei mesi. Nel 2020 in modo particolare. Ho scritto di questo anno insano, soprattutto su gennaio, è tutto qui, se ti interessa recuperarlo. Si intitola Non so come dirlo e inizia così:
A gennaio 2020 mi sono capitate cose importantissime nel giro di nemmeno due settimane, che coprono un arco narrativo di almeno quattro stagioni di un qualunque prodotto seriale moderno. Sulla scrittura ci sono ancora dubbi — «è un buon prodotto? È inclusivo? È adeguato?» — ma sulla trama niente da dire: siamo nell’ambito del romanzo page-turner, una tipologia di romanzo che ho imparato a nominare negli ultimi anni. Tipicamente il page-turner è facile che sia un thriller, se non altro perché la svolta di trama può essere messa in atto con destrezza.
(Ma il sogno di leggere un romanzo intimista page-turning non me lo toglie nessuno.)
È un’esperienza che non avevo mai fatto, ma non so se augurarvela, sinceramente. Siete persone che amano la tranquillità? Che fanno la lista dei pro e dei contro se devono cambiare supermercato? Allora forse non fa per voi. Siete persone mediamente contente? Prendete la vita come una scatola di cioccolatini? Allora forse l’esperienza non è nemmeno così traumatica.
Io appartengo a un altro gruppo, il terzo: le persone che odiano gennaio.
Gennaio è il più crudele dei mesi. Obbliga a fare i conti, anche una semplice moltiplicazione, anche se non la si vuole fare, anche se non la si condivide con nessuno. Gennaio è il mese dalle sembianze di orco bitorzoluto, con gli occhi di ghiaccio senza pupille che comunque trova il modo di guardare negli occhi noialtri, quelli che «i buoni propositi» sono l’incubo peggiore possibile.
Il 2 gennaio è il giorno esemplare di gennaio (l’Epifania nasce con malinconia, l’Epifania tutte le feste si porta via, non l’ho detto io): è quasi sempre finito l’alcool ed è il vero primo giorno di gennaio. Fin dal momento in cui si aprono gli occhi il 2 gennaio, la giornata è in salita e tempo il caffè, tempo il gesto di sedermi alla scrivania, mi ricordo di aver comunque comprato l’agenda, di aver compilato un Word con una serie di cose che dovrei imparare, o scrivere, o entrambe le cose: mi ricordo che solo dodici ore prima ho ceduto, ho creduto, ho preso per assunto il modo di pensare di Harry e Sally la notte di Capodanno. È durato pochi minuti, ma c’è stato ed eccoli lì i postumi della sbronza: un accenno di buoni propositi, nemmeno compilati per bene, nemmeno colorati: solo l’ennesima lista che vorrò dimenticare perché posso fare di tutto, tranne i buoni propositi: sono pericolosi, perché avvallano l’idea che possa funzionare la magia, con un po’ di organizzazione, con un po’ di devozione a me stessa, con un po’ di costanza possono funzionare.
Gennaio, dicevo, è il più crudele dei mesi.
Scritto dagli altri
Sulla pandemia, sullo sport femminile, su Francesco Totti, su una mostra, sulle parole del 2020 e su quanto ci mancano i baci sulla guancia.
La pandemia negli Stati Uniti d’America
L’articolo del 2020 (nel senso di pezzo-fine-di-mondo) pubblicato dal New Yorker si intitola The Plague Year e lo ha scritto il premio Pulitzer Lawrence Wright, autore di Pandemia, uscito in Italia per Piemme, che racconta di un virus letale e a diffusione velocissima che minaccia l’umanità. Ehm.
Il reportage, invece, è uscito il 28 dicembre scorso e occorrono un paio di giorni di una vita normale in quarantena per leggerlo tutto, riferimenti compresi: puoi metterti comodo. Racconta dell’America, degli errori e delle difficoltà commessi durante la pandemia. Anche se è America centrico fa una sintesi ragionata che si guarda molto bene indietro su ciò che abbiamo dovuto affrontare tutti. Togli «America», metti «Europa», i punti nodali cambiano poco.
Affonda nel 2019, è diviso in capitoli, dopo ognuno dei quali ci si avvicina lenti e progressivi alla tragedia: contiene dati, interviste, connessioni fra vari momenti della pandemia e vari ostacoli, nomi di persone che hanno scritto e lavorato in questi mesi, studi di qualche anno fa e un po’ di storia meno recente.
È passato quasi un anno, e allora che senso ha guardarsi indietro? Per me il senso sta nel capire, nel mettere i nodi in fila, per liberarsi del superfluo informativo, a cui siamo stati soggetti quest’anno.
L’articolo lo puoi anche ascoltare: dura 3 ore e mezza.
Sullo sport femminile
DWF (e non DFW) è un periodico trimestrale femminista che esiste dal 1975 (hanno un archivio con tutti i numeri) e nel 2020 è uscito SCATENATE. Quelle che lo sport…, 12 articoli che raccontano lo stato dell’arte dello sport femminile e della pratica sportiva femminile nel 2020. Con l’Italia di calcio femminile agli ultimi Mondiali si è aperta una porta su questa barricata che nessun* ha più voglia di chiudere e questo speciale di DWF dimostra che avrebbe poco senso farlo.
In SCATENATE. Quelle che lo sport… si parla di pratica sportiva come riappropriazione del corpo, come: antiviolenza, accesso e possibilità di entrare nello spazio pubblico, lotta alla criminalità, rappresentazione nel linguaggio e sui media; infine si fa una domanda importante: perché lo sport non entra quasi mai nei discorsi sui diritti delle donne e sul femminismo?
Esiste di carta e in digitale e si compra qui.
«Tottigò»
Premessa: per me Francesco Totti è solo uno dei calciatori italiani più importanti degli ultimi vent’anni e qualcosa.
Gianni Montieri, scrittore e poeta, su l’Ultimo Uomo, scrive un pezzo quasi definitivo - il quasi è solo perché è impossibile che io li abbia letti tutti - sull’ex capitano della Roma e la sua «apertura al buio», il colpo che lo ascrive alla storia del calcio.
Il piacere di leggere un pezzo di sport passa da scritture come questa. Se dovessi dire il motivo per cui ho iniziato a leggere di sport nominerei Osvaldo Soriano e poi citerei pezzi come questo. Dentro c’è: il racconto, il contesto, l’autore, la sensazione di aver visto l’apertura al buio di Totti anche se non si ha la minima idea di quando, né come, né di come sia fatta la maglia della Roma.
Ne cito un passo:
Totti è un chiarente, ovvero colui che illumina, che vede prima che gli altri vedano, che mette il pallone in un posto del campo che per gli altri è buio, per lui è per il compagno che sta lanciando verso la porta è lo spazio in cui cade la luce maggiore. Se riflettiamo, ogni volta che Totti ha aperto ha fatto sì che l’erba diventasse luminosa, laddove era sbiadita brillasse di un verde acceso, dove era stata cancellata dalla pioggia pareva, dopo il primo rimbalzo del pallone, crescere di nuovo.
Dimmi poi che il calcio non è poetico. Francesco Totti portava la luce puoi leggerlo qui.
Non una mostra come tutte le altre
L’International Tennis Hall of Fame ha inaugurato la mostra online Breaking the Barriers. The ATA and Black Tennis Pioneers, un tributo a campionesse e campioni di tennis che poco si conoscono e poco vengono nominat*, soprattutto del passato, ordinat* cronologicamente dal 1874 a Naomi Osaka e Coco Gauff.
La mostra è interattiva, navigabile secondo due menu: uno propone le epoche, uno, più puntuale, scorre il tempo anno dopo anno. Si può passare da un periodo all’altro facilmente, e da una forma all’altra comodamente.
La mia sezione preferita è quella su Althea Gibson, tennista in attività negli anni Cinquanta, non solo perché ogni volta che leggo di lei si apre una porta su questioni e accadimenti poco accessibili (siamo nell’era pre Open del tennis), ma perché è uno dei miei desideri scrivere di lei, del suo tennis, oltre che del suo personaggio (il problema principale è poter riguardare le partite). In doppio con Angela Buxton vince a Wimbledon e il Roland Garros e le due sono, già solo esistendo, una delle coppie più rivoluzionarie della storia del tennis: un’afroamericana e un’ebrea negli anni Cinquanta scalano le vette della leggenda; esiste un libro edito HarperCollins che racconta la loro storia, magari te ne parlo una prossima volta.
Sulle parole del 2020
Una sfida per chiunque: dissociarsi da quelle che abbiamo in testa – morte, isolamento, salute solo per nominare le prime tre – è complicato; cheFare ci prova: Giacomo Giossi è il curatore del «Vocabolario del desiderio e della necessità per il 2021», scritto dagli autori della rivista. Si scarica in .pdf iscrivendosi alla newsletter di cheFare.
Dallo speciale ne annoto tre, le mie preferite:
Ormonella (sì, proprio quella), di Giulia Blasi: ritornare a connettere i corpi.
Biotopo, di Eloisa D’Orsi: il bisogno di un luogo che garantisca la sopravvivenza, nel rispetto di quello degli altri.
Sogno lucido, di Laura Pugno: «ciò che sembra impossibile, finché non ne sviluppiamo la capacità.»
Se dovessi scrivere la mia parola, sceglierei Intimo: la parte profonda e più interna. Nel 2020 l’intimo è stato continuamente ripensato, perché abbiamo dovuto pensare al fuori come necessario, a volte salvifico e, allo stesso tempo, rifugiarci in un luogo dell’intimo necessario e a volte salvifico; abbiamo sperimentato situazioni intime simili, spesso comuni, allo stesso modo fragili. Da marzo 2020 l’intimo è diventato una dimensione nuova e meno autarchica.
Sui baci sulla guancia
Ilaria Gaspari, filosofa e scrittrice, su ilLibraio.it ci accompagna in una serie di riflessioni dedicate a baci sulla guancia molto famosi, tra cui quello di Giuda, quello della campagna pubblicitaria Benetton creata da Oliviero Toscani diversi anni fa, quello indicatore di ceto nella cultura classica. Li ripercorre e ne fa una piccola storia, infilandoli come perline in una collana, da mettere al collo in attesa di essere tutt* vaccinat*.
Ad esempio: sapevi che con l’origine del bacio c’entrano i sumeri?
Scritto da me
Una cosa di tennis e una di narrativa
L’illusionista Sinner, su ilLibraio.it
Un breve racconto su Jannik Sinner, l’ultimo e il più giovane tra i nostri campioni di tennis maschile, su quel momento datato 2019, che ha rappresentato il suo «quasi» che sta per esplodere. Con la partecipazione straordinaria del mio amico snob appassionato di tennis.
Il primo giorno d’estate, su Pastrengo rivista
Duemilacinquecento battute al massimo, spazi compresi, è un incubo per me. Ma quando riesce è una particolare soddisfazione. Il primo giorno d’estate racconta di me e di mia madre, è uscito il 22 dicembre scorso e solo apparentemente è fuori stagione: in fondo dall’altra parte del mondo adesso è estate.
Vedo gente (online)
Giorgia per due
Insieme a Giorgia Bernardini di Zarina, la newsletter sullo sport femminile, abbiamo fatto due chiacchierate su Instagram. Le abbiamo intitolate 3x2, perché ciascuna di noi ha raccontato 3 cose a tema. Le puntate sono due:
3x2 #1 - Un libro, un articolo, un profilo
Abbiamo parlato, tra gli altri, di: One life di Megan Rapinoe e Il mio calcio libero di Barbara Bonansea.
3x2 #2 - Un podcast, un articolo, un profilo
Abbiamo parlato, tra gli altri, di: Pink&roll e Racquet Magazine podcast.
Con Giorgia Mecca, invece, il 14 dicembre scorso ho partecipato a Vita nova del Salone del Libro di Torino. Giorgia Mecca è una giornalista e scrive soprattutto su Il Foglio, abbiamo parlato di tennis, di Steffi Graf, dello sport femminile, delle prospettive.
Puoi riguardarci su Facebook qui. È stato molto interessante, per me, perché non abbiamo ragionato solo del contenuto del libro, ma anche di come lo sport esce dal solito terreno circoscritto, di tanto in tanto, e si infila nella cultura; di come per scrivere un libro su Steffi Graf non serva raccontare di Andre Agassi.
Per questo primo numero è tutto.
A presto!
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