Provaci ancora
Il tennis italiano dei sogni e il torneo di calcio femminile ai Giochi olimpici ormai agli sgoccioli (con quasi nessuna novità).
Ieri, durante il colpo di rovescio smorzato di Lorenzo Musetti, il punto del match point per la medaglia di bronzo, ho gioito molto forte. Mi elettrizzano le seconde occasioni: non posso farci niente.
Due
Lorenzo Musetti in questo momento è il numero 16 del ranking ATP e il numero 2 in Italia. A febbraio 2024 era numero 26, alla fine del 2023 numero 27.
Cosa c’è in dieci posizioni guadagnate lo sa solo lui, perché al di là di qualche progresso atletico e uno in particolare tecnico (l’accelerazione di dritto), Lorenzo Musetti è lo stesso talentuoso ed elegante giocatore di qualche mese fa, forse di sempre.
Ai microfoni dopo la partita contro Felix Auger-Aliassime per il terzo posto olimpico ha detto di non essere stato soddisfatto della qualità del suo gioco, ha patito il nervosismo, lo stesso della partita di semifinale contro Novak Djokovic, ha sofferto e ha vinto e forse un anno fa avrebbe sofferto e mai vinto: Se mi avessero detto che avrei ottenuto una medaglia di bronzo alle Olimpiadi, avrei mandato tutto a quel paese.
Possiamo crederci.
Cosa c’è in dieci posizioni di classifica è un ragionamento in parte sbagliato: dipende ovviamente da cosa c’è anche nei sali e scendi degli avversari, nei tornei che si scelgono, quelli in cui si arriva in fondo, anche senza vincere, perché la classifica premia i costanti ancor prima dei vincenti e la stabilità è un obiettivo più gravoso da mantenere rispetto a quello della scalata.
Nel giro di una stagione, Lorenzo Musetti si è dato una seconda possibilità - forse questo sì sta dentro quelle dieci posizioni - e ha continuato a darsela ieri, durante la partita, almeno due volte, una nel primo set, quando ha dovuto ricominciare dopo la prima rimonta del break di svantaggio di Auger-Aliassime, e una nel terzo, quando hanno alzato il livello di gioco entrambi, uno in risposta all’altro, e i dettagli hanno fatto la differenza, per mantenere il servizio, per procurarsi i match point, per stringere i nervi affinché potessero fare meno male possibile.
Il match per il bronzo è una seconda occasione; vincerlo, senza possibilità di avere un altro risultato possibile è accettare il tutto per tutto. E forse anche questo c’è in dieci posizioni: pensare che una seconda occasione non sia una mancanza ma invece una possibilità. Il tennis, che non ammette il pareggio, ammette un solo sbaglio: quello del servizio, quello dell’inizio. Se la prima non entra, c’è la seconda e si può scegliere se giocarla “come fosse una prima” (cercando il vincente, cercando l’ace, cercando di interpretarla come una prima), oppure per sfruttare una possibilità: iniziare lo scambio, trovare il punto in un altro modo, con una risorsa diversa, pensando che ci sia una soluzione.
Pensare che, in svantaggio, ci possa essere una soluzione è una delle cose mentalmente più complicate da affrontare su un campo da tennis, perché si fonda su una consapevolezza di sé e dei propri mezzi tecnici e tattici variabile, labile e incerta. Non è sempre uguale, non ha mai la stessa intensità, anzi. Si consuma, si sfilaccia e mentre bisogna decidere se è meglio un passante o un tiro incrociato o ancora se nascondere all’avversario la smorzata, bisogna affidarsi alla consapevolezza.
Molti giocatori sul campo vedono spazi che noi non riusciamo e vedono opportunità inattese oppure, e con la stessa forza, tutto il contrario: non si rendono conto di avere una seconda possibilità.
Lorenzo Musetti ha vinto perché se l’è data ed era pronto mentalmente a questo regalo, a lasciare andare la forma (l’estetica, l’eleganza dei suoi colpi, la natura del gioco che da sempre ricerca) per ottenere solo sostanza e forse se si rivedesse oggi storcerebbe il naso per il colpo del match point: sul rovescio, il suo lato migliore, con un’apertura sincopata, e non perfetta, con il busto un po’ rattrappito, che si è fatto più piccolo perché quel punto e solo quello è diventato il più importante della sua carriera. E lo sapeva.
Forse per Musetti cambierà tutto d’ora in avanti - io ci spero - e forse questo piccolo cerchio che si chiude, una maledizione quasi - quella di essere stato campione Slam juniores - gli metterà un po’ di sporcizia e sofferenza addosso. Non si sa mai che da questa sporcatura emerga una fenice nuova.
Doppio
In Challengers, l’ultimo film di Luca Guadagnino con Zendaya, Josh O'Connor e Mike Faist, il personaggio interpretato da Zendaya, Tashi Duncan, spiega agli altri due cos’è il tennis: una relazione.
Nel film, Tashi gioca esprimendo all’ennesima potenza questo principio e in questa scena si riferisce al gioco e soprattutto allo scambio tra i giocatori: in un moto ogni volta differente, la pallina da tennis non è altro che l’unico viatico per esprimere la relazione. Scambio qui è inteso letteralmente e se nel tennis è uno dei modi di intendere l’insieme dei movimenti che portano a un punto, in una linea che va da poco aggressivo a molto aggressivo, in italiano esistono molte più situazioni in cui possiamo immaginare la parola scambio in un contesto di serenità.
Non pensiamo quasi mai allo scambio in una condizione di animosità, ma, chi gioca a tennis lo sa e lo dice, non c’è nulla di pacifico in uno scambio. Tashi lo dice in modo esplicito e si fa fatica a darle torto: la pallina è neutra forse ma chi la colpisce no; lo scambio, cioè la base della relazione, nemmeno e anche se i giocatori non ne sono consapevoli mettono sempre in campo una relazione.
Una buona partita di tennis non è altro che l’espressione massima di un ottimo scambio, d’amore o d’odio poco importa. Tashi nel film riferisce peraltro a un tipo di competizione tennistica specifica, quella del singolare, ma se esiste una relazione nel confronto uno contro uno, esiste anche nel doppio?
Sarebbe una domanda da porre a Tashi o a Zendaya o a Luca Guadagnino, ma i veri doppisti una risposta ce l’hanno sempre: non esiste coppia di doppio senza relazione. O meglio: non esiste una solida coppia di doppio senza una relazione. Altrimenti è solo un appuntamento o forse due.
***
Sara Errani e Jasmine Paolini entrano nella storia del tennis olimpico intorno alle 13 (ora italiana) del 2 agosto 2024, quando, sotto 0-40 nel game che vale il secondo set e la partita, recuperano lo svantaggio e vincono. Battono 2-0 la coppia ceca formata da Karolina Muchova e Linda Noskova, ben al di sotto del loro ranking di doppio WTA, fermo a fine luglio ai posti 15 e 16 rispettivamente.
La semifinale di doppio femminile giocata dalle tenniste italiane è stata una classica partita delle loro: in fiducia, senza troppi scossoni, con una Sara Errani e tenere il timone e Jasmine Paolini a spingere quando serve. Solo nell’ultimo game, forse la prospettiva di una medaglia sicura, forse la tremarella di un risultato mai ottenuto, ha messo un po’ di tremarella ai polsi. Alla fine del match, Sara Errani è subito in lacrime, scioglie la tensione senza riserve: non ha mai negato di volere una medaglia; nessuna delle due, soprattutto dopo i notevoli risultati in singolare di Jasmine Paolini quest’anno e della coppia più in generale, ha mai negato di sognare una medaglia e di recente abbiamo imparato che sognare è il modo migliore che ha Paolini di pensare di vincere.
Sara Errani, bolognese classe 87, è un’altra interprete delle seconde occasioni. Nella sua prima vita tennistica, in doppio con Roberta Vinci, ha vinto ogni Slam, ma mai la medaglia olimpica. Dopo 22 tornei vinti in totale in coppia fra cui 5 titoli del Grande Slam, la coppia si separa nel 2015, ai vertici del ranking, dopo aver scritto la storia del tennis italiano.
Uno dei momenti più belli di Errani-Vinci è stata la vittoria a Wimbledon, nel 2014, giocata in modo quasi perfetto da entrambe.
Una delle partite più belle giocate da Errani e Paolini quest’anno è stata in semifinale al Roland Garros: nel primo set, perso 6-1, le italiane vengono prese letteralmente a pallate, poi si infilano nei pertugi delle debolezze delle avversarie, Marta Kostyuk e Gabriela Ruse, e vincono gli altri due set 6-4, 6-1.
In quella partita, un gioco è durato 18 minuti, Sara Errani e Jasmine Paolini hanno perso, ma nonostante tutto sono rimaste nella partita. Non hanno perso di vista la consapevolezza, né tantomeno il risultato. Era il secondo set: un game così faticoso dal punto di vista fisico e mentale avrebbe potuto indirizzare la partita. Errani era al servizio, il suo colpo peggiore, e cercava di difendersi dalle risponde profonde con lob per alleggerire il ritmo e andando a rete per sorprenderle. In una parola: rallentando, per cercare il tempo migliore da piegare alle sue caratteristiche di gioco.
Sara Errani è stata in top 5 in singolare e numero 1 nel doppio e ha vinto 3 Fed Cup; è tornata a giocare due volte, dopo le squalifiche per doping, ha perso titoli importanti - nel 2012 si scontrava in finale del Roland Garros contro Maria Sharapova e quell’incontro ha lo stesso sapore, per molti aspetti, della finale che è toccata a Jasmine Paolini sullo stesso campo contro Iga Swiatek.
Sara Errani, in questo momento, è anche per Jasmine Paolini un’ottima compagna di doppio (e viceversa) perché le restituisce sempre in campo (e immagino fuori) la prospettiva. È una questione di esperienza: Errani sa come una partita può essere ribaltata oppure no; sa cosa serve per vincere, e sa qual è l’ostacolo principale che potranno incontrare oggi. Errani conosce la lezione delle seconde possibilità e in una partita di doppio vale solo la metà della mela, ma fortunatamente è una consapevolezza che si può regalare, in virtù di quella relazione che ovviamente le unisce.
In hotel ci sono arrivate, qualcuno chieda loro se dobbiamo pagare delle multe al Comune di Parigi.
Rosso vede, cuore duole
Nella partita del girone contro la Spagna, Marta Vieira da Silva detta Marta ha commesso un tragico fallo su Olga Carmona: su una palla contesa, la brasiliana ha allungato la gamba, mentre la spagnola ha tentato un colpo di testa scontrandosi violentemente con il piede di Marta che è stata espulsa.
Esce dal campo in lacrime, tanto da venire consolata dallo staff: quella che stava finendo in pessimo modo con il rosso diretto per lei sarebbe potuta essere l’ultima partita della sua carriera.
Prima del torneo olimpico, Marta come sempre era partita con le migliori intenzioni per il suo Brasile, cercando l’unica via possibile per un risultato eccellente: fare quello che sa fare meglio, con la solita passione e la solita grinta.
This is my life. I’m still feeling so much passion to do that, and that’s why when I step on the field, I want to do my best, I don’t want to lose games.
Il torneo è il sali e scende solito per il Brasile, ma Marta è protagonista di buonissime prestazioni: fa l’assist per il gol vittoria contro la Nigeria; poi alla partita numero 200 con la maglia del Brasile, inventa magie e contro il Giappone il Brasile perde, ma Marta finché rimane in campo gioca molto bene. E poi, la partita contro la Spagna.
La maggior parte dei quotidiani sportivi italiani e internazionali nei giorni scorsi ha messo la luce sulla fine carriera di Marta come un fatto molto probabile e dunque finire con un cartellino rosso preso in quel modo sarebbe stata una fine non all’altezza.
È difficile scegliere la cosa che di Marta mi piace di più. Ma se dovessi scegliere, sceglierei la danza con il pallone tra i piedi, perché non è mai inutile, non è mai pretestuosa. È puro talento o allenamento e pura tecnica messa insieme, ma non importa: è ciò che rende le partite di calcio uno spettacolo, quando si ha la fortuna di vederlo.
Non so se il calcio conosce Marta meglio di noi o lei veneri il calcio in un modo a chiunque altro incomprensibile (questo spiegherebbe tante cose senza troppe parole, come ad esempio la danza di cui sopra), ma il Brasile le regala un’altra possibilità, dopo la vittoria ai quarti contro la Francia, e una delle semifinali del torneo olimpico sarà di nuovo contro la Spagna.
Il destino, certo, o forse la lezione della seconda possibilità, che non capita sempre, non capita a tutti. Bisogna guadagnarla. A volte bisogna avere un credito. Olga Carmona non ha la testa spaccata e Marta potrebbe tornare in campo potendo ripartire dal punto in cui ha malamente interrotto.
Se non è LA seconda possibilità questa.
Altre cose da leggere e da ascoltare
Un libro sulle seconde possibilità sportive è quello di Gerald Marzorati, Tardi sulla palla: ha qualche anno, in Italia lo ha pubblicato Add editore.
Quest’anno, tra i workshop di Internazionale a Ferrara ce ne sarà uno dedicato alla scrittura sportiva, curato da Giulia Siviero con me e Giorgia Bernardini a dare manforte. Un tipico 3x3 di basket femminile, insomma. Le notizie qui.
Alessia Tuselli ci aiuta a capire cosa è successo con il caso di Imane Khelif. Su Ultimo Uomo.
Le mie ultime letture per il IlLibraio.it sono su due dei libri più interessanti che ho letto in questi primi sei mesi del 2024: I ricordi dell’avvenire di Elena Garro, pubblicato in Italia da SUR e T di Chetna Maroo, pubblicato in Italia da Adelphi.
Ho partecipato a uno degli episodi del podcast di Tiziana Scalabrin sui Giochi olimpici, dal titolo Estate olimpica. In uno degli episodi ho parlato di tiro con l’arco e di Pacey Witter.
Se non sai chi è Marta, qui c’è un bel pezzo da cui partire. (È in inglese.)
Infine
Novelz è anche su MINDIT, nella categoria sport. Se leggi da Substack non cambia niente, ti arriverà comunque in mail.
Alla prossima!