Questo primo numero dell’anno di Novelz doveva parlare solo di cose che iniziano con la M e invece poi arriva la vita e quindi questo numero è diviso in tre parti.
La prima porta il numero 9. La seconda legge i tarocchi. La terza si veste sempre di nero.
Gianluca Vialli
Esiste una scena precisa.
Sono seduta al tavolo tondo della cucina, è un tavolo scomodo che non piace a nessuno, perché occupa troppo spazio. A me piace molto, invece, perché è tondo e ha la superficie ruvida e spesso pianto il polpastrello su un punto e percorro tutto il perimetro senza staccarlo mai.
È maggio e sono pigra, sbadiglio, faccio i compiti.
È il 1991 e ho quasi 9 anni. In televisione c’è 90° minuto o qualcosa del genere e passano il secondo gol della Sampdoria contro l’Inter, il gol che vale la sfida Scudetto per la Sampdoria.
L’immagine, ovunque la cerchiate su YouTube, non è nitida, Gianluca Vialli con i capelli ricci e la maglia larga in vita, stoppa la palla e inizia tutto con l’esterno del piede destro. La trascina verso il centro del campo, e tu che guardi pensi che sia finita lì, che avrebbe provato a tirare da lì e invece passa oltre. Ci trascina assieme alla palla che va sempre più in là e ogni centimetro che percorre lo fa con più precisione. Zenga è a terra, non può farci niente, si stende, ci prova ma Vialli è avanti, è in anticipo, va dove deve andare, nell’estremo possibile, il punto massimo di estensione di questo movimento a lato che si estende finché può. Infine tira un tiro corposo. Uno che dà soddisfazione. La palla riceve la completezza del movimento, della forza e Vialli continua la sua corsa da solo, a piedi vuoti, che carambolano per fare una capriola in aria. Il festeggiamento del gol se ce n’è uno.
C’è stato un tempo, quel tempo, in cui il calcio ha conquistato la mia attenzione, e non aveva ancora a che vedere solo con il tifo, ma aveva a che vedere con lo spettacolo. Quel tempo, che ha irrimediabilmente compromesso le mie domeniche pomeriggio, porta da sempre quel numero 9 sulla maglia e mi ha catapultato in giorni frenetici, i seguenti, in cui ogni volta che in TV si sono avvicendate le carrellate dedicate alla Sampdoria alla fine campione d’Italia, io mi sono fermata a guardare Gianluca Vialli. Erano momenti preziosi, recuperi che altrimenti non avrei potuto fare. E questo calcio di cui tutti parlavano a scuola, per cui mio padre quasi impazziva ogni domenica, lo scopro fatto di spettacolo, quello che non ricordavo di aver visto al Mondiale l’estate precedente, ad esempio, mentre sventolavo da sola un bandierone che a un certo punto si è afflosciato, per una squadra in cui Gianluca Vialli già c’era, ma non c’era.
Non so di preciso cosa c’è in quel gol - ogni tifoso della Sampdoria parla di sfida Scudetto, di pianto, di gioia, di una sensazione di liberazione. So soltanto che è la prima volta che il calcio succhia la mia attenzione e mette letteralmente in moto i piedi. Ho quasi 9 anni e in fondo l’unica cosa che desidero è avere a disposizione un campo e un pallone per rifare io stessa tutto daccapo, mille volte se necessario.
Quel gol, come tutti i gol emblematici, ha a che fare con un destino che si compie, che riporta ogni fatto precedente al proprio posto: il palo colpito poco prima non è più un’occasione persa, ma un evento che ha apparecchiato la festa. Quel gol, come tutti i fatti essenziali della vita, ha a che fare dunque con il ricordo nitido, attorno cui si costruisce la memoria, il racconto, ciò che rimarrà nel setaccio una volta che la sabbia sarà scivolata via.
Dall’altra parte della stanza, in quel momento, mio padre nota questo moto dell’anima, questo mio interesse nuovo, quasi strano. Ci aveva provato prima a farmi vedere una partita intera, ma non ci era mai riuscito, nemmeno con la Nazionale. Mi piazzavo davanti alla televisione, trascrivevo su un foglio il nome degli 11 titolari, cercavo di imparare. Mi incuriosiva il linguaggio, cosa significasse, perdendomi tutte le azioni.
Non ricordo quasi più niente del calcio prima del 5 maggio 1991, quando dichiaro con una certezza assoluta, come solo i bambini possono fare, che da quel momento in avanti quello sarebbe stato il passatempo della domenica: non il calcio, ma Gianluca Vialli; avrei guardato ogni partita della Sampdoria per tutta la vita, senza essere mai stata a Genova, senza aver mai visto Marassi, senza nemmeno pensare di poterlo fare. Mi basta così.
Dopo un anno di partite, dopo un anno di Gianluca Vialli, esiste Gianluca Vialli da una parte e la Juventus dall’altra. Due cose che per fortuna si sono incontrate, di lì a poco. È bastato sedermi a guardare, e godermi gli anni dal 1992 al 1996.
Di Gianluca Vialli mi piaceva guardare come giocava con la palla, la capacità naturale dei movimenti, il gesto facile che era sinonimo di purezza: è un esterno del piede che stoppa, la punta che prende, la gamba che tira, l’occhio che mira. A rifletterci sempre un minuto dopo, accorgersi che invece lo spettacolo è qualcosa che si ottiene anche con ciò che non si riesce a raccontare, chiuso dentro meno di un secondo, mentre l’unica cosa visibile è un corpo che sa decidere come andrà a finire la storia.
Mentre giocava, la palla non poteva fare a meno di girarsi a guardare, convocata, come espressione stessa dello spettacolo, il nostro, che si scioglieva in un’acrobazia o in un gol di precisione, nella tecnica del 9 che sapeva guardare al dettaglio nello spazio. E anche a volerlo rivedere cento volte a fila proprio non si capisce dov’era questo spazio.
Quello che abbiamo scoperto di recente, con la spedizione in Inghilterra della Nazionale per l’ultimo Europeo, è che Gianluca Vialli sapeva raccontare i momenti, sapeva osservarli e renderli visibili a tutti e in fondo era la stessa cosa che faceva con la palla tra i piedi.
Da leggere
Marco Gaetani per l’Ultimo Uomo e Nicky Bandini per The Guardian hanno scritto i pezzi secondo me migliori sul campione e la persona Gianluca Vialli.
Sono:
Vialli se n’è andato con un messaggio | 6 gennaio 2023 - Marco Gaetani per l’Ultimo Uomo
Gianluca Vialli spent his life winning trophies but he also won hearts | 6 gennaio - Nicky Bandini per The Guardian
Da vedere
Gianluca Vialli che fa il backstage prima di Juve Real del 20 marzo 1996 e la puntata di Una semplice domanda di Alessandro Cattelan in cui interviene appunto Gianluca Vialli (è su Netflix).
Memé
C’è un personaggio del Terzo incomodo (il mio romanzo, è uscito qualche anno fa, ormai) che si chiama Memé. È un personaggio secondario, una signora avanti con l’età amica di un’altra signora avanti con l’età che era la nonna di Teresa, la protagonista.
Non era il fulcro del racconto, quindi come sempre accade quando ci sono dei personaggi secondari in un romanzo come quello, io so tutto di lei, anche quello che non è scritto, mentre chi legge sa solo le cose rilevanti, quelle che la mettono in relazione con la storia e gli altri personaggi.
Una delle cose che Memé fa nel romanzo è leggere i tarocchi e tutto di lei - l’aspetto esteriore, i comportamenti, i gesti, le decisioni - è il frutto di un mix di una serie di persone che ho conosciuto che non solo sanno fare i tarocchi o le carte, ma ci credono e possono farti vacillare se dimostri scetticismo.
Non so se ti è mai capitato di vacillare riguardo alla previsione del futuro: la mia reazione è sempre quella di non mettermi in condizioni di dover decidere se credere o meno al futuro, quindi davanti a chi sa fare le carte, io mi giro sempre dall’altra parte.
Una delle persone che sono entrate dentro il personaggio di Memé l’ho conosciuta da ragazzina, ci ho pensato qualche tempo fa a pranzo mentre parlavo con alcune colleghe, e da ragazzina mi aveva rivelato alcune cose sul mio futuro: 4 si sono verificate, per l’ultima dovrei aspettare ancora qualche anno.
Le 4 cose che si sono realizzate avevano a che fare con la città in cui avrei abitato, Milano (a quei tempi ero convinta che avrei abitato a Roma o a Napoli), un libro di esordio che non mi avrebbe reso felice (non è colpa del Terzo incomodo, ma è andata così), un figlio che avrebbe portato il nome di un apostolo (né la signora, né io avevamo deciso che ci piacevano i nomi della Bibbia, né io ero certa che avrei avuto un figlio, ai tempi) e un’amica che mi avrebbe causato tanta gioia quanto dolore.
«E non ti dico le cose brutte, perché non le dico mai a chi mi sta simpatico», aggiunse.
«E l’amica? Mi hai detto che porta dolore.»
«Porta gioia e dolore, non è una cosa brutta, è una cosa che va così.»
«Allora può essere chiunque», le dissi, mettendola in discussione.
«Vuoi sapere come si chiama?»
«Sì», la sfidai.
Era la terza media, sfidavo qualsiasi cosa semovente. Mi disse il nome. Era un nome molto comune. Mi disse anche un aspetto del suo fisico, forse meno comune. Ha avuto ragione.
È stata la prima e l’ultima volta, ho smesso di ricordare gli oroscopi, di pensare alle guide astrologiche o che ci possa essere chi riesce a sapere le cose che accadono. Cosa ci fanno con queste cose? A chi le raccontano? E se non le raccontano e continuano a saperle cosa se ne fanno?
L’oroscopo e i tarocchi da leggere
Il primo oroscopo è quello disegnato di Strategie prenestine. Un esempio qui sotto, con l’ultimo segno dell’anno solare:
Il secondo è l’oroscopo letterario di Jolanda Di Virgilio sul Libraio, che è sempre una cosa divertente per leggere, soprattutto per rubare i libri agli altri segni zodiacali.
Se sei completista, c’è la voce astrology dell’enciclopedia Britannica che ne fa un quadro completo, ma se sei un Millenial come me vorrai di certo sapere perché, anche se con un occhio solo e facendo finta del contrario, leggi l’oroscopo, riponendo un certo velo di speranza malcelata.
Il pezzo è di Judie Black, lo scrive per «The Atlantic» nel 2018 e dice a un certo punto:
A combination of stress and uncertainty about the future is an ailment for which astrology can seem like the perfect balm.
Ma dai? Non l’avremmo mai detto, vero? Infatti.
E poi prosegue:
Humans are narrative creatures, constantly explaining their lives and selves by weaving together the past, present, and future (in the form of goals and expectations).
E quindi ecco, l’oroscopo è una forma narrativa in fondo, come anche leggere le carte e fare i tarocchi.
Se invece vuoi un romanzo, c’è Cuori arcani di Melissa Panarello che è uscito per Mondadori da un po’ di tempo ormai. Melissa Panarello scrive di tarocchi da molto tempo ormai, ha una rubrica di astrologia sul settimanale Grazia, e qui sul suo sito sono raccolti alcuni dei suoi post a riguardo.
Mercoledì
Un po’ di tempo fa ormai fa è uscito su Netflix Wednesday, la serie TV di Tim Burton centrata su Mercoledì Addams adolescente, con Jenna Ortega che prende il testimone del 1991 di Christina Ricci, presente anche lei nella serie nel ruolo di una delle prof. dell’Accademia in cui Mercoledì approda.
Tim Burton + Mercoledì Addams + drama teen per me è praticamente la ricetta della felicità, quindi mi ci sono fiondata appena la serie è uscita, senza leggere niente a riguardo, senza farmi influenzare. Senza prestare un minimo di ascolto soprattutto a chi avrebbe detto «Eh ma vuoi mettere Christina Ricci?»
Lo so, c’ero anche io.
Wednesday è prevedibile, godibile, la ricetta del pancake perfetto, intrigante ma senza essere eccessivo e ha dato una nuova Mercoledì a chi (tipo me) non vedeva l’ora. È tutto giusto, è già pronta per i meme, per TikTok, per il ballo cult (che è una cosa che strizza l’occhio a noi pazzi per Mercoledì di Christina Ricci in così tanti modi da risultare esaltante) e questo non è né indice di un capolavoro né tantomeno di una prova leggendaria.
A differenza della Mercoledì interpretata da Christina Ricci, però, quella di Jenna Ortega è una Mercoledì più consapevole. Sa badare a se stessa in un modo che alla Mercoledì precedente era concesso sì, ma fino a un certo punto. L’indipendenza del personaggio di Mercoledì Addams ha diverse sfaccettature, e quella che accomuna le due è fare dell’indipendenza un mezzo: per la Mercoledì di Christina Ricci questo significava più rinunce, più stranezze, meno fascino, per la Mercoledì di Jenna Ortega, invece, è una qualità umana, quindi fragile, che come ogni eroina che si rispetti fa parte dell’arsenale che la fa vincere tanto quanto di quello che la fa perdere.
Wednesday è piacevole. Ti aspetta e ti prepara la seduta del divano, in modo che tu possa sprofondarci dentro senza sentirti pers*. Mai.
Mercoledì di una volta non poteva mai essere come Morticia, non poteva nemmeno pensare di avvicinarsi a quel modo di fare. Ne aveva ereditato il sarcasmo, ma doveva farlo diventare sempre qualcosa di esplosivo, altrimenti non sarebbe mai stato abbastanza. Mercoledì di oggi invece ha il compito di trovare la sua strada. Finalmente.
Da leggere
A parte i libri legati all’ultimo film d’animazione dedicato alla Famiglia Addams pubblicati in Italia da Harper Collins e la novelization degli anni Novanta di Elizabeth Foucher legata alla sceneggiatura del film, non ci sono romanzi che raccontano la Famiglia Addams, perché la storia arriva dall’illustrazione e dal fumetto, cioè dal lavoro di Charles Addams, cartoonista del New Yorker che lo scorso novembre entra nella Hall of Fame.
La raccolta che dà il nome all’universo narrativo è The Addams Family. An evilution che in italiano fu tradotta come La Famiglia Addams. Una storia diabolica. In Italia non si trova più, negli Stati Uniti forse sì.
NPR ha dedicato a Charles Addams un pezzo dal titolo How the cartoonist behind The Addams Family defused fear, with dead-on humor e lo trovi qua.
E poi
L’anno scorso ho fatto il gioco degli iscritti. Eravate 253. Lo rifaccio quest’anno: siete 277, con soli 3 numeri pubblicati nel 2022. Grazie.
Ultima nota
Novelz è anche su MINDIT, nella categoria sport. Se sei iscritt* da Substack non cambia niente, ti arriverà comunque in mail; è solo un modo in più per leggerla.
Per questo numero è tutto!
Se sei qui per la prima volta
Novelz sta per «Novel» più una «z» difettosa: è come dire romanzo, storie, ma con un errore alla fine e quindi darsi delle arie, ma sul più bello pentirsene.
La newsletter
Novelz è iniziata a gennaio 2021. Ci troverai sempre delle storie: le mie, quelle che leggo, quelle che guardo, quelle di sport e in generale quelle che mi piacciono molto.
La (breve) bio della titolare
Vivo a Milano dal 2007, con Simone dal 2012, con Paolo dal 2016 e vicino alla Martesana con molte piante dal 2020. Collaboro con «L’Ultimo Uomo», «ilLibraio.it» e «Zarina» e mi trovi principalmente qui e su Instagram. Ho scritto due libri, l’ultimo si intitola Steffi Graf, lo ha pubblicato 66thand2nd e racconta la carriera in singolare della prima grande tennista a cui mi sono appassionata. Sono una delle due voci di Goleadora, un podcast sul calcio femminile e 1/10 di Rivali, la raccolta a cura di Ultimo Uomo pubblicata da Einaudi nel 2022.